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Il manifesto della G.M. della Comunicazione
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La cultura è una coscienza critica della realtà che consente di valutare tutti i suoi variegati aspetti alla luce di una ipotesi preferita ad altre, per maggior capacità di dare significato alle cose che accadono. "Fare cultura" richiede, quindi, di usare tutti i mezzi disponibili, tutte le risorse, intellettuali e morali, tutti i patrimoni storici per educare un giudizio che va da quell'attimo quasi segreto della coscienza individuale, alle più complesse teorie e sistemi di pensiero.
La formazione del giudizio è una questione centrale: essa riguarda la presa di posizione del soggetto di fronte alla vita, l'ampiezza dell'orizzonte in cui si colloca, i criteri di cui fa uso, e, più in generale, la mentalità che accompagna o domina la vita personale e sociale.
E’ a questa cultura che dobbiamo formare le nuove generazioni, se vogliamo avere persone capaci di pensare in "proprio", persone equilibrate, sagge, interessate e capaci di migliorare la società nella quale sono chiamati a vivere. Questa formazione deve essere fatta anche ai media e con i media, che fanno ormai parte della nostra realtà quotidiana e della nostra esperienza.
Sappiamo benissimo che i media, tradizionali e nuovi, fanno cultura, propongono una propria concezione del mondo che può essere in sintonia o in contrasto con la propria cultura di appartenenza sia familiare, sia sociale.
I programmi televisivi e i videogiochi, soprattutto, possono anche indurre a comportamenti dannosi e a rappresentazioni banali e stereotipate dei rapporti umani, possono cioè incattivire tutti, sia per la spettacolarizzazione dei sentimenti, sia per gli eccessi e la superficialità dei loro contenuti, come possono anche manipolare piccoli e grandi, bambini e adulti, massificando il nostro cervello con una visione piatta, monocromatica e pedissequa della realtà, dove la diversità è ignorata o appare un di- svalore e dove la forza, il successo e la ricchezza sono gli obiettivi da perseguire e raggiungere a qualsiasi costo.
Anche gli altri media, però, non sono da meno né per violenza né per diseducazione: che fare? Dobbiamo per questo spegnere la Tv, ignorare i new media e ritornare a rifugiarci attorno al caminetto, magari ascoltando e raccontando storie? Potrebbe essere una buona idea, ma non sappiamo fino a che punto questa possa essere una linea pedagogica feconda, realizzabile e percorribile. Paulo Freire, il grande pedagogo latinoamericano, in un'intervista ci ricordava che: «Una delle cose buone che ciascuno di noi, giovane,adulto o vecchio, ha il compito storico di fare, è quella di accettare di integrarsi e inserirsi nel proprio tempo». Dobbiamo accettare il nostro tempo con le sue possibilità e i suoi limiti e valorizzare al massimo tutte le risorse che il buon Dio mette a disposizione della nostra crescita integrale, e imedia fanno parte integrante di queste risorse. Ben a ragione Benedetto XVI, nel messaggio per la 41'' Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, ci suggerisce di formare i media e di formare i bambini ai media.
Come formare i bambini ai media? Oggi i messaggi veicolati, soprattutto dalla Tv, dalla pubblicità e dalle riviste, sono costellati di valori legati al culto della bellezza, della magrezza e della forza fisica, dipinti come condizioni indispensabili per il successo sociale e sentimentale, quando non propongono, addirittura, disvalori e modelli pericolosi, puntando sulla violenza, sulla volgarità, sull'egoismo personale e sociale o sulla sopraffazione dei deboli e degli indifesi. Questi modelli, però, possono essere contrastati con una seria e ferma riprovazione critica e attraverso l'incentivazione di produzioni di qualità, con particolare attenzione ai programmi dedicati ai minori. Una sana pedagogia, infatti, non può vivere solo di divieti, ma necessita di proposte costruttive e alternative. Pedagogia dei media Forse la migliore difesa consiste non nei divieti e nelle difese esterne, bensì in quelle interne, ossia nella capacità di offrire agli educandi strumenti critici attraverso i quali possono vedere, confrontare, discutere, progettare, fare. Da tempo, infatti, i migliori pedagoghi sostengono l'importanza di aiutare i ragazzi a comprendere a fondo i meccanismi dei media: il linguaggio specifico di ogni singolo medium, la differenza che passa tra l'uno e l'altro, la conoscenza delle regole del montaggio e della ripresa cinematografica e/o televisiva, l'importanza di esercitarsi nella elaborazione di un pensiero proprio, nella pianificazione di un palinsesto, nel cercare di costruire un copione e una sceneggiatura, nel provare a montare e smontare un programma, nel discutere con i coetanei e con gli adulti, nel valorizzare la comunicazione della telefonia, mobile e fissa, in funzione di un'autentica comunicazione e non per banalità o consumismo tout court. Nella nostra società multimediale non è più giustificabile avere timore dei media o delle nuove tecnologie, anche perché sappiamo che è un processo quasi fisiologico avere paura del nuovo. Ogni invenzione umana, ogni novità, è sempre stata fonte di ansia, timori e dubbi, allora perché spaventarci? Per quanto riguarda le nuove tecnologie, poi, anche se è vero che queste interagiscono con la nostra sfera cognitiva e possono avere ricadute sulla nostra capacità di concentrazione, modificando la struttura della nostra memoria e portandoci a pensare per immagini piuttosto che per concetti, questo non vuol dire che esse siano meno valide o più dannose di altre invenzioni umane, l'importante è la misura e il tempo di esposizione al singolo medium. La televisione e gli altri media, infatti, sono strumenti ricchi e interessanti per sviluppare le nostre capacità intellettive e offrirci conoscenze che diversamente non potremmo avere in modo così immediato, anche se queste conoscenze sono a mosaico e in forma alquanto superficiale, ma per l'approfondimento ci sono sempre gli educatori e i formatori. Anche Internet è un'esperienza culturale, eccitante, legata a uno spirito di ricerca e, quindi, può diventare un momento arricchente ed efficace per il bambino, o il ragazzo, che va cercando qualche informazione, gioco, comunità virtuale. I media sono senz'altro strumenti utili e istruttivi, purché non diventino una coercizione per il ragazzo, ma restino una risorsa. Se succede, invece, che il bambino rimane spesso in casa da solo per troppo tempo, e non ha qualcuno con cui stare, con cui giocare perché è sempre più spesso figlio unico, perché è difficile uscire di casa, perché fuori c'è il pericolo, in questo caso la televisione o il computer assumono un ruolo di compagni di gioco o addirittura di baby sitter, in questo caso la situazione cambia. Non è positivo che un bambino, o un ragazzo, veda mediamente tre o quattro ore di televisione al giorno, dopo essere stato seduto a scuola per quattro o cinque ore. Un ragazzino di sette-otto anni, e anche più, possiede una sua capacità esplorativa e una manualità spiccate; esse sono le sue competenze più importanti e ha bisogno di esercitarle per diventare grande, inoltre i ragazzi hanno estremo bisogno di avere accanto una persona adulta, che permetta loro di verbalizzare le impressioni ricevute e le esperienze fatte, soprattutto se negative, per non rimanere segnati nell'inconscio. Gli adulti, genitori o educatori, dovranno fare il possibile, perciò, perché il minore coltivi interessi molteplici, a tal fine debbono saper gestire il tempo e saper gestire l'esposizione ai media, senza assolutizzare nulla, ma dando il diritto di cittadinanza a tutte le varie espressioni e attività ludiche, culturali, manuali, relazionali..., per non trovarsi con un minore a una sola dimensione: quella tecno-elettronica. •
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